Amazon, Google, Apple e Facebook: quello che non sai sui padroni del mondo

Amazon, Google, Apple e Facebook: Scott Galloway, professore universitario di brand strategy presso la Stern School of Business della New York University, ci svela i segreti nascosti delle quattro aziende più influenti del mondo.

Il suo libro “The Four, I padroni” tratta di come Facebook, Google, Apple e Amazon (i Big 4) siano arrivati al loro successo attuale. Galloway arriva a paragonare queste grandi aziende agli organi dell’essere umano che rispondono a dei precisi istinti:

  • Amazon viene definito come la pancia, è questo l’organo che ci spinge a soddisfare bisogni primari. Soddisfa la necessità di acquisto: l’accumulare cose è sempre stata una caratteristica dell’essere umano, tanto da diventare un bisogno primario. Amazon ha reso più semplice ottenere qualsiasi cosa in pochissimo tempo e comodamente a casa;
  • Apple viene paragonata agli organi genitali, questo perché soddisfa il bisogno del piacere che un bene di lusso può portare ad un consumatore; 
  • Facebook rappresenta il cuore: grazie all’utilizzo di immagini e alla creazione di una rete di relazioni, dà valore al nostro bisogno d’amore;
  • Google: si tratta del cervello! Proprio perché risponde al nostro costante bisogno di conoscenza e di una soluzione rapida ai problemi.

 

L’altra faccia di Amazon

Pensando al mercato online cosa, o meglio chi, ci viene in mente? La risposta che tutti daremmo è Amazon, il grande colosso dell’e-commerce fondato nel 1994 da Jeff Bezos. 

Tanto conosciuta per il grande successo, Amazon è protagonista di altrettanti scandali. L’azienda ha raggiunto delle dimensioni enormi, puntando sull’efficienza e rapidità delle consegne, dimenticando la gestione delle risorse umane.

Primo tra tutti quello che vede coinvolti gli impiegati nel settore logistico dell’azienda stessa. Le testimonianze concordano nel dire che dietro il successo globale si nascondono i turni e la ripetitività del lavoro insostenibili. 

Così Il 22 marzo 2021, 9.500 addetti al magazzino e oltre 15 mila driver italiani, hanno deciso di scioperare chiedendo verifiche dei carichi di lavoro, contrattazione dei turni, corretto inquadramento professionale del personale, riduzione dell’orario di lavoro dei driver, buoni pasto, stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori interinali, continuità occupazionale e stop a turnover esasperato.

 

Da una grande azienda derivano… Grandi problemi!

Un’altra brutta storia riguardante sempre Amazon sempre nel 2021…

l’Agcm (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) ha multato Amazon Italia per oltre 1,1 miliardi a causa della sua posizione dominante all’interno del mercato ai danni degli operatori concorrenti. 

Si tratta di un servizio – FBA – “Fulfillment by Amazon” – che Amazon propone per “aiutare” i venditori che decidono di utilizzare la piattaforma come un “tramite”. Il processo è piuttosto semplice: i venditori inviano i propri prodotti al centro di distribuzione di Amazon più vicino, che si occupa di immagazzinarli fino ad un eventuale ordine. Ricevuto l’ordine, il prodotto verrà imballato e spedito da Amazon stesso.

Appare come un ottimo servizio e sicuramente ha i suoi pro, tuttavia ha anche i suoi svantaggi. Ovviamente, questo servizio ha un costo. Costo che diventa sempre più alto con l’aumentare del periodo di deposito dei prodotti presso i magazzini Amazon. Inoltre il controllo sull’inventario diventa precario, rendendo le ricerche di vendita complesse per i venditori. 

Non comparirà il brand del “venditore” ma quello di Amazon e questo può portare il rischio di rimanere nell’anonimato, perché la maggior parte degli utenti continua a riporre la propria fiducia unicamente in Amazon (date le sue grandi dimensioni e fama) e non potendo creare un legame diretto con i propri clienti, i venditori saranno limitati nella crescita del proprio brand.

 

FB e Google, ma come guadagnano?

L’iscrizione alla piattaforma di Zuckerberg è gratuita eppure i suoi guadagni sono da capogiro!  Pensate che i ricavi di Facebook per il 2021 sono stati di 117 miliardi di dollari e conta 2,9 miliardi di utenti. Un numero gigante, che ne fa il social network più grande al mondo, almeno per ora (si stima già che entro il 2022 Tiktok avrà 1,5 miliardi di utenti attivi mensili). 

Facebook guadagna dalla vendita dei dati dei propri utenti che rilasciano volontariamente, accettando le condizioni previste in fase di iscrizione. Fornendo dati riguardanti i propri interessi, età, sesso…il social network potrà vendere degli spazi pubblicitari a grandi aziende, che saranno certe di andare a colpo sicuro e offrire informazioni ad hoc al proprio target di riferimento.

Anche Google riesce a fare ciò grazie al sentimento di fiducia che genera nei suoi utilizzatori, che aprendo il motore di ricerca non si trovano sommersi da pubblicità o annunci che possano influenzarli, portandoli alla convinzione che le loro ricerche sono al sicuro ed effettuate in un ambiente che non ha alcun fine pubblicitario.

Ma sorpresa…i ricavi di Alphabet Inc (la holding che controlla Google) derivano proprio dalla pubblicità, per un buon 86%!

Dando uno sguardo a uno dei modi in cui Google guadagna abbiamo il pay per click. Infatti, quando clicchiamo su un risultato di ricerca che riporta la dicitura “ann” o “sponsorizzato, stiamo ovviamente accedendo a contenuti pubblicitari che vengono inseriti tramite la funzione AdWords di Google, piattaforma tramite cui gli inserzionisti possono organizzare le loro campagne di advertising…pagando una lauta percentuale a Google.

Certamente anche la presenza di un fondatore iconico è una chiave vincente per il successo aziendale. La strategia di molti brand consiste proprio nella personificazione costante di un singolo individuo. Così è stato anche per Apple…

 

Protezione dei dati, ma fino a che punto?

Steve Jobs, il fondatore di Apple, viene spesso descritto come carismatico self made man partito dal nulla. L’acquisto di un prodotto a marchio Apple, simbolo globale di ricchezza e cultura, è diventato un vero feticismo improntato sul lusso, settore da cui lo stesso Jobs ha preso ispirazione.

Uno dei punti di forza di Apple è il livello di protezione dei dati che garantisce ai suoi clienti. È proprio questo ad averla portata all’interno di un ciclone mediatico quando nel 2015, a seguito di un attentato, l’FBI ha sequestrato al terrorista coinvolto il suo iPhone 5C ed Apple si è rifiutata di sbloccare il telefono per avere accesso ai dati in esso contenuti.

L’azienda sosteneva che ciò avrebbe creato un backdoor che sarebbe potuto finire nelle mani sbagliate e che il governo non poteva obbligare un’azienda a svolgere operazioni di sorveglianza su privati cittadini.

Dalla protezione dei dati alla vendita di essi, anche a discapito della sicurezza nazionale, i grandi colossi hanno sicuramente politiche differenti che lasciano non pochi dubbi al riguardo. Le Big 4 hanno quindi più facce: da un lato si mostrano per la loro utilità. Dall’altro celano molte verità che spesso vengono ignorate o celate. 

 

È possibile farne a meno?

Suonerà strano ma vivere senza le 4 BIG oggi è diventato letteralmente impossibile. I dati mostrano che Google elabora 8,5 miliardi di ricerche al giorno, oltre 99.000 ricerche ogni secondo! Vi pare possibile non domandare a Google chi è questo e quello almeno una volta al giorno? Oppure, avete mai effettuato un acquisto online, su un qualunque sito, senza passare prima dalle recensioni di Amazon?

Insomma, è dura non passare almeno da una di queste dogane virtuali senza pagare un dazio. Ma qual’è il prezzo da pagare? Cosa si rischia realmente? La propria privacy o, peggio ancora, il rischio concreto di essere continuamente monitorati o, peggio, pilotati verso quelle che reputiamo scelte libere e incondizionate ma che in realtà non sono altro che il frutto di pixel, tag e codici di monitoraggio mixati fra loro in maniera impeccabile?

Qualcuno ci pensa alle piccole e medie imprese familiari italiane? Le attività continuano a chiudere giorno dopo giorno, accrescendo i livelli di disoccupazione e povertà. Tuttavia, qualcosa si può fare ma sta a noi fare il primo passo. Lasciare un segno nel proprio territorio, nel proprio paese, o città, è possibile. Ad esempio, si può creare un sistema virtuoso sfruttando l’online e la logica dei marketplace, proprio come “Amazon” ma in miniatura.

Dunque, come mettere in pista un marketplace virtuoso che possa realmente aiutare il proprio territorio? Scoprilo nel prossimo articolo!

1 commento su “Amazon, Google, Apple e Facebook: quello che non sai sui padroni del mondo”

  1. E pazzesco, ormai lo sappiamo tutti cosa fanno questi colossi,ma ci ridiamo sopra…. Io no , essendo un piccolo imprenditore e capite in che situazione mi trovo.

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